Il colloquio nell’ambito dell’orientamento

Secondo una definizione dell’UNESCO (1970) “Orientamento vuol dire porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona”.

L’orientamento si configura come un aiuto alla persona perché proceda nella sua evoluzione e perché dia il suo contributo sociale; si inserisce, quindi, in un processo formativo continuo che vede coinvolte diverse istituzioni sociali: la famiglia, la scuola, la società tutta.

Trattandosi di un processo continuo non dovrebbe avere senso parlare di intervento orientativo, quasi si trattasse di un intervento dall’esterno, che procura alla persona gli elementi adatti a una buona scelta.

Il sistema scolastico ha, fino a questo momento, posto un traguardo, la terza media, che imponeva una prima importante scelta; con la riforma dei cicli scolastici vi sarà un biennio che si propone fra i suoi obiettivi fondamentali proprio quello di orientare i suoi alunni.

Fornire le conoscenze indispensabili e attrezzare gli allievi di “capacità decisionali” sono compiti che la scuola dell’obbligo si propone di assolvere attraverso una didattica orientativa accompagnata da un lavoro specifico di orientamento.

È necessario superare l’impostazione del “consiglio” da parte degli insegnanti, compito della scuola dell’obbligo è aiutare gli alunni ad autorientarsi; non è il consiglio che serve all’allievo quanto il poter usufruire di un percorso di apprendimento delle abilità necessarie a conoscere meglio sé stessi, a cercare e fruire in maniera attiva delle informazioni e a saper prendere decisioni giuste al momento giusto.

Abbandonato l’approccio diagnostico e superata la convinzione che orientare significhi “informare” si è ormai approdati a una visione del “tecnico” in un ruolo di supporto nei confronti del protagonista del processo di orientamento, ma anche nei confronti di quelle agenzie educative che si occupano della formazione e di quello sviluppo dell’immagine di sé  dove prenderà posto anche l’identità professionale.

Accanto al lavoro con l’istituzione scolastica, con gli insegnanti e con i genitori, uno degli strumenti più importanti del “tecnico dell’orientamento” è proprio il colloquio individuale.

Gli incontri collettivi che forniscono informazioni, il lavoro di gruppo su unità didattiche finalizzate all’orientamento, sono strumenti indispensabili e sommamente utili a porre le premesse perché si attui un buon orientamento. Ma il colloquio, o i colloqui individuali, che possono essere anche due o tre a seconda del tipo di problematica del ragazzo, rappresenta lo strumento che porta a conclusione il lavoro precedente, raccogliendo le fila di discorsi e di orientamenti nati a casa, a scuola e con i compagni.

Il colloquio in generale necessità di qualità quali ascolto, empatia e non direttività, ma le caratteristiche che contraddistinguono il colloquio di orientamento riguardano innanzitutto il contesto. Può trattarsi di un centro di orientamento privato o di un centro di psicologia o, più frequentemente, di un contesto scolastico.

Nella prima parte di questo lavoro ci si occupa di quest’ultimo tipo, del colloquio di orientamento all’interno delcontesto scolastico, che accade in presenza di alcune variabili costanti e generali, a differenza del colloquio di orientamento che può svolgersi in un centro di altro tipo, le cui variabili risponderanno a parametri variabili di volta in volta.

Comunque e dovunque si svolga il colloquio, esso va considerato come strumento di intervento all’interno della grande cornice della relazione d’aiuto, che si pone come obiettivo quello di facilitare la presa di coscienza dei problemi che vengono trattati.

Carl Rogers, psicoterapeuta di Chicago, fondatore dell’approccio esistenziale-umanista, propone una impostazione della relazione d’aiuto centrata sulla persona, sui suoi bisogni affettivi e sui suoi valori. La sua metodologia è stata definita non direttiva.

Anche il colloquio di orientamento può essere impostato in modo non direttivo, “centrato sullo studente”, individuando nel protagonista del processo di orientamento colui che trova gli obiettivi, determina i contenuti e, in base alle proprie capacità e aspirazioni, progetta il suo futuro verso l’autoaffermazione e l’autorealizzazione. Le capacità del ragazzo di comprendere e tenere conto di un grande numero di variabili daranno adito a una scelta scolastico-professionalecongrua. Quando queste capacità sono scarse o quasi assenti il compito dell’orientatrice diventa importante e impegnativo e a volte impossibile a svolgersi nell’arco di alcuni incontri.

Il colloquio di orientamento si prefigge uno scopo: quello di arrivare ad una scelta. Questo scopo è il limite e la direzione del colloquio, o dei colloqui, di orientamento.

Il contesto scolastico è il contenitore che formalizza il rapporto possibile fra orientatrice e allievo, limitante ma rassicurante perché definisce le coordinate intorno alle quali si organizza il colloquio.

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